Due piccole piume

Ero allo struscio in un pomeriggio di festa
su e giù per il paese andavo verso la stazione.
La sconosciuta invece che veniva dalla stazione era uno schianto
avvolta in un vestitino attillato a mezza coscia che dentro non ci stava
la guardavano tutti, e si fermavano, e si voltavano ma lei tirava dritto fiera e consapevole.
Aveva un’ aria familiare così le andai incontro a braccia aperte dicendo finalmente sei arrivata!
T’ aspettavo con ansia.
Così, tanto per provarci.
Ma lei aprì le braccia e mi abbracciò stretto, i seni due punte di diamante contro il mio petto e sussurrò
“Ho dei compiti da svolgere ma torna qui, proprio qui, più tardi quando avrò finito”.
Mi venne il dubbio che la conoscessi davvero e che forse era per quello che stavo andando alla stazione
oppure era una gran paracula e stava al gioco per prendermi per i fondelli.
Girai un po’ per il paese, ma il paese cambiava di continuo,
ecco, ora passavo davanti alla casa di ragazzo, al paese
e svoltato l’angolo a quella d’ infanzia, dentro alle mura di Como
passavo dalla Mole Antonelliana alla torre degli asinelli per arrivare davanti al Colosseo
e continuavo a girare e girare e girare
fino a trovarmi intrappolato nel caos del traffico solito di Milano.
C’ era una strana fretta di trovare un parcheggio e fermarmi per controllare se fosse l’ ora indefinita dell’ appuntamento
strana perchè l’ orologio era lì in bellavista sul cruscotto dell’ auto.
Il primo parcheggio libero l’ ho trovato proprio davanti al luogo dell’ appuntamento
e cazzo, lei c’era, sul marciapiede in attesa, mi abbracciò di nuovo e mi disse
“Ho una cosa da mostrarti ma solo quando saremo a casa”.
E così in un attimo fummo a casa, solo che non era casa mia
e non credo fosse nemmeno la sua visto che era arrivata in treno da chissà dove
era una specie di mansarda col tetto a punta fatta di travi di legno
come uno chalet o una soffitta, con divani e cuscini di piume
sì, ecco, forse era proprio uno chalet
mamma ne aveva uno così che sotto il tetto nascondeva gioie
e scoperchiato suonava una musica sentita da sempre
e quella che avevo in quel momento tra le braccia era proprio una gioia e la musica era quella.
Stava sdraiata su un fianco sulle mie braccia, appoggiava il viso che accarezzavo al mio petto e mi guardava
mi guardava con la bocca socchiusa lasciar scendere la mano e farla scivolare nei pantaloni, sopra le mutandine.
Aveva una pelle liscia di bambola là sotto ma quando cercai di scostarle un po’ disse No!
no, non toccarla, non toccare, tocco io ogni due minuti.
Come tocco io!? E perchè proprio ogni due minuti?
eppure disse proprio così e non so se ero più stupito per la volontà di non essere toccata o per i due minuti visto che i suoi tocchi erano molto più frequenti.
Mi si affacciò alla mente il tempo, che girava come un enorme rotore d’ elicottero
e i due minuti erano il passo ciclico delle pale che diventavano ore o attimi secondo la velocità del rotore.
E tra ogni passo un attimo.
Poi iniziò a muoversi sensuale, spalancando la bocca, e mostrando i denti e la lingua così chiesi cosa stesse facendo..
Gli faccio l’ amore disse e si vedeva che era felice, non era più con me ma era felice.
Poi venne piangendo di gioia dicendolo e ripetendolo fin che alla fine mi baciò.
La lingua era fresca, umida e aspra come il caviale mentre al contrario la stanza si faceva sempre più calda.
Iniziò a spogliarsi, splendida, e pensai tocca a me!
Ma non ci facemmo l’ amore.
Perchè fu proprio lì che mi svegliai,
il display sopra il letto diceva che erano passate da poco le tre,
altro appuntamento ciclico ormai..
Non so quanto rimasi sveglio a rivedere il sogno dall’ inizio, una volta, due volte, tre, per tenerlo vivo e portarlo nel prossimo sonno.
L’ ultimo pensiero però fu che domani come al solito non ricorderò nulla.
Non venne nel sonno seguente e non l’ ho più vista ma al risveglio c’ erano due piccole piume di cuscino sulla manica del maglione appoggiato al comodino.
Allora è proprio qui, invisibile, in questo Vero-oggi e sta aspettando due dei suoi variabili minuti
potessi accelerare, fino a che i minuti si azzerino e dagli attimi tra uno e l’ altro scocchi una scintilla azzurra per saldarli in uno solo eterno.
Lei sarebbe sempre qui.
O fermare il rotore e non sognarla più.
Ma questo non si può, il rotore gira e gira veloce o lento come il tempo.
Tornerà quando vuole e può.

L’ albero dei cioccolatini

Si ricordò che diceva a tutti che da grande voleva fare il camionista.
Se ne ricordò proprio quando scese dal camion per entrare nella libreria, a cercare qualcosa per il suo bimbo.
C’ era un alberello carico di cioccolatini all’ ingresso, a disposizione dei clienti, uno per ogni cliente.
Una bimba ne scelse uno a forma di babbo Natale, lui invece scelse quello a forma di camioncino.
L’ aveva già scelto una volta, quando mamma glie li faceva scegliere dal grande albero, nella grande sala, tra i fili d’ oro e d’ argento e di luce.
Gli sembrò avesse lo stesso sapore e risentì la voce che glie lo fece scegliere.
Stava proprio accanto all’ albero quella voce, mentre babbo leggeva sul divano, era la sera delle magie così se ne andò subito a letto ma non per dormire.
Avrebbe aspettato il bacio, sicuro, della buonanotte e poi avrebbe aspettato che tutti dormissero per tornare sotto l’ albero, per vederlo, per vedere da dove sarebbe entrato che non avevano camini e tutto era chiuso per bene.
Non riuscì mai a vederlo, si addormentava sempre prima e si svegliava sul divano con la sua copertina che l’ aveva tenuto al caldo, lui era già passato, l’ albero era carico di doni, ognuno con un nome scritto sopra.
Su uno c’ era il suo nome e dentro c’ era il trenino dei suoi sogni, e le casette, e i semafori e le gallerie.
Perchè lui lo sapeva che non era vera la storia del camionista anche se ora è proprio quello che era, lì in una città lontana mentre i figli a casa aspettavano qualcosa.

La bimba intanto si era addormentata su un divanetto vicino all’ ingresso, non c’ era nessun altro così mentre lui sceglieva qualcosa anche la proprietaria della libreria approfittò di un cioccolatino.
Quello a forma di moneta! Che la libreria non andava molto bene con tutti quegli ebook che ci sono in rete e le vendite online… glie ce ne sarebbero volute molte di quelle monete.
Ma il cioccolatino era magico e appena messo in bocca e gustato il sapore pensò che forse non era quello il problema più importante.
C’era tutta una serie di problemi più “piccoli” che avevano molta più importanza.
La morte della madre prima e una serie di delusioni poi l’ avevano spenta, immalinconita, forse era anche per quello che gli affari andavano male… non se ne curava più molto, le sembrava che la gente intorno fingesse di interessarsi a lei ma che in realtà tutti fossero tutti immersi nel loro mondo.
Aveva perso anni così e intanto il tempo passava trascinando quella sua sensazione d’inadeguatezza ed estraneità, si sentiva strana per la capacità di gioire, piangere e soffrire per i suoi libri, per le poesie, per un’alba, per la vista del mare o un tramonto ma non credeva più che ci fossero altre persone come lei.
Il cioccolatino sembrava avesse il potere di farle riprendere fiducia nelle persone, nell’amore e nei sentimenti.
In fondo era felice che la sua idea dell’amicizia non fosse cambiata ed era sicura che presto molte cose si sarebbero risolte…

Altra gente intanto entrava, un generale in pensione scelse un cioccolatino a forma di pigna, che sembrava un po’ una granata. E si ricordò tutte le battaglie, e gli errori e gli orrori.

Una professoressa non sapeva decidersi, guardava l’ albero e non sapeva decidersi, che la vita era quasi passata tra studi e una bella casa, e un uomo con cui dormire e un sogno realizzato che qualcuno gli aveva caricato sulle spalle, come un peso non suo.
La bimba intanto s’ era svegliata, e la tirava per la gonna chiedendole di raccontare una storia. E lei ne sapeva, le aveva studiate.
Sempre più gente entrava, sceglieva un cioccolatino e stava ad ascoltare le storie della professoressa. Storie di fate, di casette di zucchero e cioccolato. Che ascoltare è un po’ come prendere i sentimenti di qualcuno e farli tuoi. Dopo un po’ c’era un bel gruppo di persone, poi il gruppo era come una cosa sola.

Intanto la bimba era sparita,
forse qualcuno era venuta a prenderla,
forse non era più necessario che fosse lì
La professoressa scelse un cuoricino rosso rosso.

Sogno pentatonico

Stavo su uno dei soliti palchi, quelli delle feste di paese,
sotto le stelle.
Al posto delle nostre alogene ai fianchi del palco però c’ erano due potenti fotoelettriche,
tutto era illuminato a giorno, tanto da non riuscire a vedere le stelle nè gli alberi intorno.
Eravamo solo noi e il palco, anzi, a pensarci bene ero solo sotto la luce.
Tutto procedeva bene, la gente si divertiva, finchè il cavo di tensione iniziò a scintillare,
le fotoelettriche lampeggiavano veloci, l’ audio mandava strani ronzii e la gente guardava confusa.
All’ improvviso apparve un ragazzo, non ho visto da dove, spuntò dal buio e saltò sul palco, proprio come facevo io una volta. Ora ci preoccupiamo di mettere una scaletta.
Iniziò ad armeggiare col cavo, senza buoni risultati perchè le fotoelettriche si spensero e tutto sparì nel buio.
Durò qualche secondo poi in un lampo si accese lui, di un bell’ azzurro elettrico, eravamo solo io e lui.. e assomigliava a me.
Gli ho dato la diavoletto e ha iniziato a suonare, erano le canzoni che facevamo da giovani,
I sogni di un bambino.. Decidi.. Tu sei la Verità.. Ma non avevo mai sentito un suono così
un suono che neanche i Celestion più costosi, i riverberi e tutti quegli aggeggini digitali che si usano oggi possono dare.
Non so quanto tempo durò, ma il tempo batteva forte come la cassa di un orologio senza lancette, o quella della batteria.
Quando finì la musica se ne andò, e non volle insegnarmi neanche un trucchetto.
Tu prova, continuava a dire andando, e riprova, tenta, e ascolta.
Ciao.. torno presto.

palco1

La Bacicin (You can say she is a dream)

You can say she is a dream..

Non sbaglieresti
era proprio un sogno la Bacicin
una bella barca bianca e azzurra
un rettangolo di mare e la barca intorno.
Il capitano portava i sub al luogo dell’ immersione, quattro o cinque escursioni al giorno,
loro si lasciavano cadere in quel rettangolo e lui aspettava al sole il ritorno
era il suo lavoro, ma non era quello il sogno.

La sera veniva a prenderci, al molo turististico e la barca diventava un galeone
raccontava di quando era un pirata, molte vite prima, e il mare gli traboccava dagli occhi
occhi pieni di scogli, fari luci della costa e luci di stelle.
Ritto al timone puntava il dito alla costa, e raccontava dei giganti costruttori di paesini,
e li vedevi nel profilo delle rocce,
raccontava delle streghe che li abitavano, e raccontava così bene che le luci delle televisioni riflesse alle finestre delle case sembravano lampi e luci di incantesimi.
Quello era il sogno, il suo, e ce lo regalava.
Poi ci portava a terra, e spariva nel blu.

Un’ armonica

https://www.larecherche.it/testo.asp?Tabella=Poesia&Id=52685

 

Babbo storceva il naso
e parlava poco
la musica era solo un sogno,
un bel sogno sì,
ma non valeva giorni persi di lavoro
diceva.

Intanto suonava l’ armonica
e anche i fili d’ erba
e l’ aria si riempiva di suoni
tra i narcisi e i ciclamini
sopra Brunate.
Da lassù guardava il lago
e il profilo dei monti all’ altra sponda
e quando guardava all’ altra sponda
aveva la mia stessa età
non misurabile in anni.

E questo ho imparato.
Quando io guardo all’ altra sponda
e seguo il contorno dei monti
come lui, ho la stessa sua età
non misurabile in anni.
E salgo ai narcisi e ai ciclamini
e trovo una fisarmonica che suona.
Basta una gita,
una strada
un colore,
un suono.
Un cannone a metà tra il cielo e il lago
che spara lontano un ricordo.
E risorge.

“E suonare mi tocca per tutta la vita”.

 

 

Bionda o rossa?

Certo che una bella bionda
giovane e fresca
con le sue curve accattivanti non è male.

Ma la rossa…
l’ ho incontrata in giro per Milano, (scarpe bianche come me)
era il ’69 e si presentava bene
bella, anche lei giovane ai tempi,
rossa e con tutte le curve al posto giusto.
Sapevo che era un pò cattivella e graffiante quando voleva
ma è così che la volevo.
Sapeva anche esser dolce se la trattavi con altrettanta dolcezza.
Era un piacere accarezzarla.

Il tempo però è inclemente,
e anche se le curve son sempre al loro posto
i segni si vedono.

I primi leggeri,
bastava un pò di crema a farli sparire
poi sempre più profondi
ma le davano un’ aria “vissuta” e il temperamento era uguale.
Forse appena un pò più cattiva con l’ esperienza.
Sempre comunque bella.

In fondo anche per me il tempo è passato
e ho anch’ io i miei segni,
li abbiamo fatti insieme.

Ma lei è sempre la migliore.

 

“quante volte ci ho provato, quante volte ci proverò,a far cantare le mie mani”

…ma ho ancora canzoni da imparare

Piste del sogno

https://www.larecherche.it/testo.asp?Tabella=Poesia&Id=52460

 

Io ci provo ancora, il giorno.
Imbocco il sentiero che s’ addentra nel bosco
e che seguendo la vecchia ferrovia arriva alla cava da cross,
dove l’ argilla rossa appesantiva le ruote
e le ruote si ribellavano schizzandola ovunque.
Il sentiero è cambiato
la vecchia ferrovia non si vede più
coperta d’ erba e terra
e gli alberi che mi guardavano e guardano passare sono più alti,
così sembro più piccolo,
ma li riconosco, e anche loro credo
e tra qualche giorno vestiranno a fiori
per il prossimo passaggio.
Qualcuno è caduto lungo il sentiero
e rallenta il passo
già lento di suo
altri si son fatti belli,
di altri restano solo le radici.
La cava invece non è cambiata,
lì sono cambiato io,
l’ argilla rossa in questo giorno di sole
impolvera solo un poco le scarpe,
questa bici non ce la fa
la devi accompagnare alle salite
e non decolla verso il cielo.

E così la sera.
Imbocco il sentiero che s’ addentra nei sogni
e che seguendo vecchie piste arriva alle stelle,
fin dove le stelle correvano e giocavano
e io correvo con loro.
Anche qui il sentiero è cambiato
le vecchie piste non si vedono quasi più
coperte di bollette e impegni, e fastidi
ma le stelle che mi guardavano e guardano passare sono infinite,
così sembro sempre io il più piccolo,
e le riconosco, e anche loro credo
qualcuna manca
altre hanno forme familiari
e tra un po’ brilleranno più forte
per quando tornerò lassù.

Non così la notte.
Dentro il sogno nessuna mancanza
e i più bei sogni giocano ancora tra le mani.

Nei miei sogni
do             sol
i sogni di un bambino
fa                   do
vedo tante, tante stelle
sol               fa
intorno a me
do
fa sol do
questi sogni
do         sol
son tanti, tanti amici
fa               do
che giocano, si divertono, mi chiamano
sol                 fa                   sol
e corro da loro
fa            do

sol fa do

ah questo sogno
do                  fa
mi porta lassù
do                  fa
fra di loro
do
stelle del ciel
sol     fa     do

Incontro, una notte al bosco

C’ era solo la luna sul bosco quella notte,
e io sotto, di guardia.
Tutti dormivano.
Guardia a cosa poi non l’ ho mai capito
ma bisognava stare all’ erta,
per un improbabile chi va là,
un fermo o.. non avrei mai sparato
e mancava ancora qualche ora per andare a riscaldarsi.

La luna illuminava l’ aria
i pulviscoli di neve brillavano
freddissimi e pungenti tra gli alberi,
creando una nebbia bianca sulla stradina sterrata per la polveriera,
proprio in mezzo al bosco.

Non c’era un suono,
solo freddo e male alle dita per il fucile gelato.

Lui e’ apparso all’ improvviso
da destra, grande, fiero, spezzando un ramo,
così l’ ho sentito e visto.
Dev’ essermi sfuggito di bocca lo stupore
e così lui ha sentito e visto me.
Si è fermato,
è indietreggiato un passo,
come a rimandare il suo cerbiatto nel bosco,
ma lui no.
Lui è rimasto a guardarmi,
mentre io guardavo lui.
Ero armato,
e lui li doveva conoscere bene i fucili
ma non se ne andava.
/Non aver paura/ pensavo,
e intanto non so cosa pensasse lui
ma forse ha sentito i miei
il silenzio sembrava più fondo
e il tempo un’ eternità,
poi ha traversato con calma la stradina col suo cerbiatto
ed è sparito nel bosco.

Verso chissà dove.
E’ durato un’ eternità
ma all’ orologio mancava sempre qualche ora per andare a riscaldarsi.

 

2neve

Progetto per la costruzione di una barca volante

Per prima cosa scegli bene il legno,
senza nodi e non troppo spesso.
Diciamo un paio di millimetri scarsi.
Anche il collante ha la sua importanza
non servono grandi tecnologie, un comune attaccatutto andrà benone,
solo un pò di epossidica per i supporti del motore.
Due listelli di tiglio van bene.
Evitare colle a caldo.
Già sperimentato.
E atterrato con la fusoliera in un campo
e le ali in un altro.

A proposito, la fusoliera, a centine, piuttosto affusolata.
Il ponte senza balaustre.
Le vele di seta leggerissima
vanno posizionate appena dopo il baricentro,
partendo da prua.
La vestizione è la parte più bella,
non usare l’ azzurro,
o sarà quasi invisibile in acqua o in cielo
nè il bianco nuvola.
Il rosso va bene per i giorni di sole
e il giallo per i giorni bui.
Il monocote va steso bene,
senza grinze o fessure,
le fessure potrebbero far filtrare acqua
e appesantire il legno
così che, abbassando le vele in orizzontale,
non riesca a decollare.
Ma se hai fatto tutto bene basta alzare un pò il timone e la prua punterà dritta al cielo.
Da terra la puoi vedere la chiglia, scintillare ancora umida di goccioline.
Se non hai scordato un paio di alettoni,
posizionati sul bordo posteriore delle vele
fatte ali
la puoi far roteare
e vederle i fianchi, e il ponte
e ancora la chiglia, la prua e la poppa.
Puoi lanciarla in verticale fino allo stallo
appesa al sole
e poi farla ricadere in picchiata.

Se la comunicazione non si interrompe puoi riprenderla
rialzarele ali
e farla riammarare tranquilla.
Se no, ricomincia da capo.
Devi scegliere bene il legno.

Strada facendo

Al km 147 in autostrada il cielo è azzurro
i paracarri a fianco, la campagna, le case,
scorrono via veloci negli angoli degli occhi.
Pochi chilometri più avanti
inizia a colorarsi di scuro,
il sole si impiglia in un campanile
mentre manda gli ultimi raggi d’ arancione
prima di affondare alle sue spalle.

Resta solo, il cielo
scuro e azzurro senza sole
pieno di segni e nuvole rosa,
guarda! ecco due ali, un paio di baffi,
maschi e femmine disegnati, pirati,
e un galeone volante per salirci con la fantasia.

Pochi chilometri ancora perchè i disegni virino dal rosa al nero
e il cielo dall’ azzurro al profondo blu.

E lì che appaiono le stelle
una, dieci, cento,
mille brillanti stelle.

Ora.
Se dico cielo
è il nostro cielo che guardo
fatto dell’ azzurro del vestito di mamma,
del nero delle sue scarpine.
Se dico sole è il suo sorriso.
Se dico pioggia, il suo pianto.
Lei lo sa che guardo le stelle
e che mi ci perdo ancora
come nei sogni di bimbo
così tanto da scordare l’ uscita dall’ autostrada.

Lo sa fin troppo bene.

E ancora,
se non ci fosse memoria di quel cielo
potrebbero cadere tutte le stelle,
e conficcarsi a terra
in un parcheggio d’ autogrill
insieme a tutto il galeone.

desirè