L’avresti detto mai

Ma tu l’avresti detto mai un tempo
che quelle automobiline a pila
di metallo verniciato a colori lucidi e brillanti
che curvavano agli ostacoli e non cadevano dai tavoli
quelle su cui sognavi di salirci
per poter andare dove vuoi
non l’avresti detto che oggi sono qui
e non avresti detto mai che ci puoi anche salire per davvero
anche se tu avevi forse l’unica che si bloccava all’angolo.
Così come oggi non diresti mai
che un giorno inventeranno quelle pile
quelle che corri corri e non si scaricano mai
quelle che desideravi quando l’automobilina non correva più.

Lo stesso vale per le ragazze che sognavi
viste nelle riviste di mamma o nei cataloghi
non l’ avresti detto mai un tempo
che oggi avrebbero abitato ancora i sogni tuoi.
Così come oggi non diresti mai
che un giorno inventeranno un sogno
che sogni sogni e la notte non finisce mai.
Mentre la vita invece sì.

Seminuda

Stava nello spiraglio della porta socchiusa
seminuda
forse intenta alla vestizione, o svestizione
che da quel punto non si intuiva.
La stanza era il suo rifugio e lo porta il confine
tutta la figura era ritta e fiera nello spiraglio di luce
e non guardava ma io lo so che sapeva che ero lì
forse per questo è tornata nell’ altra luce invisibile dietro la porta
seminuda
per continuare la vestizione o la svestizione.
E questo restare così, seminuda, durerà per sempre.

Hopper

Mamma guarda dall’alto

Davanti casa mia prima che ci costruissero c’ era un terreno incolto
ci cresceva quell’erbaccia che qui chiamiamo sancarlini
alti, un metro è più, più di noi bambini e bambine, con un buon profumo.
Forse Artemisia volgare.
Ci si entrava a giocare, si tracciavano sentieri e strade appiattendoli
come un labirinto, e al centro una piazzetta con magari un palaid preso in prestito a mamma.
Era un rifugio, lì nessuno ci poteva vedere e si passavano bei pomeriggi sotto il sole
ma casa mia era un palazzo di sei piani, mamma stava al quinto
e al rientro mi chiedeva la diagnosi della Luisa
“alura, ma la sta la Luisa?”
Per fortuna la Luisa abitava da un’altra parte.
Ma mamma ancora viene a chiedere qualcosa.

Faccia bella

Porto sempre un segreto con me nel mio vagare su questo mondo
come cosa preziosa da custodire
come un ricordo bello o un corpo amato
qualcosa che mi accompagna nel viaggio.
A volte lo estraggo, nelle pause su qualche panchina per fame o sete
lo estraggo e lo tengo nel palmo della mano
lo mostro al lago o all’albero che mi fa l’ombra
come potesse entrare in questo mio mondo vero.
E sempre è muto il lago, l’albero e le cose
e hanno come un lamento che non so dire
sarà per la chiesetta alle spalle
sarà che devo riporlo e tornare piano verso casa
sarà nostalgia di quell’ altro mondo
sarà che lo sento come fosse qui
nel palmo vuoto
e ha la faccia bella.