Sembrano fragili ricami le tenui poesie di Franco Bonvini tessuti da un filo delicato che si dipana dal gomitolo della vita. Racchiudono in un’ aura di silenzio soffusa di nostalgia, la sensazione della mancanza, la tenerezza di un cuore, la leggenda del’amore che si ripete per imparare ad amare e a lasciarsi amare.
Si intravede nascosta l’anima del poeta che si schernisce , ma preme per voler uscire e scoppia di vita e di sensibilità.
Di pagina in pagina si muove leggera, in punta di piedi, la madre adorata con la quale il poeta giocava a nascondino, si ode il suo canto soave; come sogno appaiono lievi le passeggiate nel bosco a primavera a inseguir canti di grilli e uccellini, esperienze nel verde e profumo di torte di mele.
Sembra di percepire, scorrendo lo sguardo tra i versi, un profumo ventoso di brughiera, di bosco, di lago, di una casa antica.
È una Poesia fatta di ricordi, di musica, di amorevole letizia venata di malinconia: carezze tra i capelli per un dolore improvviso, gratitudine per un’anima ormai lontana.
Ma la morte è rinascita, è compagnia; l’autore continua il suo viaggio con altri amori: la donna, i figli i nipoti, e porta con sè solo i sogni e un piccolo plettro di pochi grammi. La musica compagna fedele per sedare il vuoto.
Continua il sognare all’infinito, sogni come aquiloni senza filo che esprimono nuovi incontri buoni e il desiderio di rivivere le corse in bici, i bagni nel lago, alla ricerca di un’eterna giovinezza tessuta con gli amori della sua vita.
Insieme una chitarra su cui affiorano i segni del tempo e le ferite dell’anima riempite d’oro.