Fece buio all’ improvviso,
subito dopo un lampo.
Era Maggio, forse Giugno.
La stanza era in penombra e l’ odore dell’ Olona entrava dalle finestre.
Solo lei era lì, appesa alla parete.
E io.
Guardava i miei dodici anni senza dire nulla,
non un giudizio nè un’ approvazione.
Così le raccontavo di quanto mi piacesse stare lì,
dalla zia materna.
Di quanto mi piacesse scendere nel parchetto sotto casa,
dove c’ era la pista delle biglie
o andare qualche isolato più in là, da nonna.
A volte spingermi in esplorazione fino a trovare la darsena.
Ma lei non ci credeva.
La notte ascoltavamo l’ acqua dell’ Olona scorrere
e guardavamo i lampi blu elettrici che il filobus lanciava riflettersi nei vetri.
E il suo viso si illuminava di quei lampi,
pareva cambiare espressione.
A volte piangeva.
Con me.
Oggi sta in un’ altra casa e ancora non mi crede.
Così lei torna a trovarmi.
In sogno.
Per ricordarmi cosa mi sarebbe piaciuto veramente.
Per ricordarmi che era il buio la luce nella quale splendeva.
Forse è una specie di castigo.
Forse consolazione.
Forse il suo ostinato volermi bene.
Forse la sua preghiera.